Parole in viaggio
By Abramo Tognato
Iniziamo oggi proprio con i due termini del titolo, parola e viaggio.
Buon Ascolto!
Parole in viaggioMar 22, 2020
#25 - Parole in Viaggio
#24 - Parole in viaggio
è iniziato un vero e proprio viaggio, non ci sono tante altre parole per descrivere la situazione in cui il nostro Paese insieme a tutti gli altri stati del mondo si trova. Un viaggio particolare, un viaggio che non ha meta ben definita se non la salvaguardia della salute. E per far questo, è giunto il momento di rivedere le priorità, di fermare il modello socio-economico che da decenni marciava ininterrotto: ci hanno provato in tanti, studiosi, luminari, pensatori, ma le loro parole non sono state sufficientemente convincenti a trovare una strada alternativa per rimodulare i modelli di sviluppo globale.
In realtà questi giorni non possono essere usati per sterili polemiche contro amministratori e politici. Questo è il nostro tempo dell’attesa, dell’osservare, del guardare il mondo con quell’atteggiamento del servo umile, attento al suo padrone: ob servare. E il nostro padrone, o più che padrone il nostro punto di riferimento oggi come oggi devono essere tutte quelle persone che non possono rimanere chiuse in casa per mantenere elevato il livello della nostra sicurezza, per garantirci un elevato standard di benessere.
Perchè forse non riusciamo a cogliere bene lo stato delle cose: abbiamo una casa, abbiamo uno spazio in cui muoverci liberamente, abbiamo una tecnologia tale da tenerci collegati con tutte le altre case, abbiamo un tempo che troppo a lungo non abbiamo potuto assaporare; e infine, se manteniamo tutte le precauzioni, siamo anche in buona salute. Questa è la realtà, uno spazio, un tempo, la salute. Certo, è strano aprire la finestra, vedere la natura che ci chiama con i suoi panorami, i suoi tramonti, le sue montagne, i suoi cieli incantati. Ma in questo momento dobbiamo guardare al nostro spazio e imparare a dire grazie.
Grazie è una parola meravigliosa. Ci ricorda innanzitutto le tre grazie, le tre figlie di Giove che diventano il simbolo della bellezza, della gioia e della fioritura. E sono tre concetti che sempre quando pronunciamo questa parola magica inondano di profondità ciò che ci circonda. E devono essere le nostre guide quando pensiamo a tutti quelli che in questi giorni stanno lavorando per noi: rappresentano la bellezza del nostro Paese, una bellezza che rimane altissima anche quando sembra sprofondare negli abissi. Sono portatori di gioia, perchè stanno dimostrando a tutto il mondo quanto amano il loro lavoro, quanto valga quel senso di sentirsi parte a un sistema dove ognuno ha un ruolo fondamentale e prezioso. Infine sono come i fiori, sanno che il loro compito è ora di mantenere sana la pianta, curarla dalle infestazioni, dalle malattie, tenere vivo il cuore perchè arriverà il giorno in cui il fiore tornerà a mostrare la sua parte migliore, quel colore, quella luce, quel profumo che tutti noi conosciamo.
Quando pronunciamo un grazie, ricordiamoci tutto questo, ricordiamoci anche che di solito diciamo grazie quando riceviamo un dono. Sembra strano, ma osserviamo bene il nostro stare a casa, il poter stare a casa in uno spazio nostro, con un tempo nostro, con i nostri cari vicini o facilmente raggiungibili con le nuove tecnologie, questo lo possiamo definire un dono straordinario. E come tale, va portato rispetto per chi ce lo dona, quotidianamente.
E allora, a voi che state lavorando, che state rischiando le vostre vite, che state usando il vostro tempo per noi, vi diciamo Grazie, per la bellezza, per la gioia, per i fiori che ogni giorno ci portate nelle nostre case.
e la bellezza della parola grazie, non si ferma solo alla lingua italiana. Se prendiamo il corrispondente verbo inglese to Thank scopriamo un altro interessante aspetto: alla base di tutto ritorna il verbo latino tongere, che significa conoscere, sapere. Inizialmente pertanto il grazie corrispondeva all’azione di consapevolezza, coincideva con il pensiero razionale di gratitudine, rendo grazie perchè riconosco il tuo gesto. E’ un po’ quello che ci sentiamo di dire
#23 - parole in viaggio
#22 - Parole in viaggio
Buonasera a tutti e bentornati sulle frequenze di Parole in viaggio Sono giorni molto delicati questi in Italia e nel mondo. il Covid19, comunemente chiamato Coronavirus si sta purtroppo diffondendo non solo in Cina, ma anche nel nostro Paese. Prendo in prestito le parole che spesso sentiamo nei notiziari in questi giorni, delegando agli esperti invece tutto ciò che riguarda il trattamento e la prevenzione da questo virus. La paura di contagio dal virus è giustamente elevata. In effetti, anche la parola virus porta con sè un significato chiaro, ovvero il concetto di veleno che ci assale, di una sostanza velenosa che in modo costante prova ad aggredire. Un po’ diversa invece è la situazione per l’influenza, dal latino in fluere, richiama lo scorrere dentro, insinuarsi all’interno. Sono due modalità diverse di possedere l’altro: una molto aggressiva, un operare alacremente, un’azione che senza pausa ci assale, un movimento dall’esterno verso l’interno; l’altra invece prevede che siamo noi ad aprire un pertugio, e per quanto piccolo, in fisica la regola dei fluidi è molto chiara “I fluidi si adattano alla forma del recipiente che li contiene. Questo avviene perché i fluidi non sono in grado di opporre resistenza ad una forza applicata tangenzialmente alla loro superficie” cosa significa? semplicemente che se lasciamo un fluido entrare nel nostro corpo, nella nostra vita, si adatterà alla nostra forma, riempiendo ogni nostro spazio vuoto. Noi crediamo di controllare tutto ciò che entra, perchè in realtà non deforma la nostra struttura, è semplicemente un liquido che segue la nostra forma. Forse è per questo che non ci accorgiamo di essere immersi in informazioni, credenze, idee, pensieri che non sono nostri; pensiamo di avere costantemente in mano le redini del nostro pensiero perchè il liquido inserito si adatta a noi, ma non ci accorgiamo che per quanto la struttura esterna ancora ci assomigli, il contenuto ormai è invaso giorno dopo giorno da questo fluido che si insinua in ogni angolo all’interno di noi. osa ne consegue? forse che crediamo di avere un pensiero soggettivo, quando invece a parlare è la contaminazione del liquido con la nostra essenza, ne siamo talmente immersi che non distinguiamo il pensiero altrui dal nostro. E il tutto accade ricordiamo con un movimento di apertura dall’interno verso l’esterno: non è l’aggressione velenosa di un virus dall’esterno, è una scelta più o meno consapevole di tenere aperto un passaggio, di lasciare un fluido esterno scorrere dentro di noi. Alla fine, il lavoro dell’influencer è proprio questo: mettere a disposizione parole, immagini, modi di fare, pensieri, scelte, paure, desideri, tutto questo a disposizione di chiunque decida di tenere aperto un pertugio. L’influencer non ci assale come un virus, non ci chiede di seguirlo, siamo noi ad aprire un passaggio e lasciare che entri. Avviene così la contaminazione del pensiero. E anche contaminazione ha una sua specifica radice, “tag”, sia di tangere, sia di tagmen, sia quindi di entrare a contatto con, sia di malattia contagiosa: ne deriva un contatto con qualcosa di sporco, con qualcosa che lascia il segno, che modifica la sua purezza. La nostra purezza di pensiero in cambio di sentirsi inondati da una forza esterna. E’ proprio cambiato il modo di agire, una volta erano i predicatori, gli oratori ad andare alla ricerca di un pubblico, a portare il loro pensiero, a tentare di influenzare le folle. Oggi invece la folla è seduta comoda sul divano, nella sicurezza della propria casa, lontana dalle piazze, dai pulpiti da dove un tempo si ascoltavano i relatori, e in questo comfort apre una porta ad altre persone che senza la fatica di girare le città, le piazze, le folle, riescono a insinuarsi nelle menti delle persone e senza alcuna aggressione ne contaminano il pensiero, cioè riducono quel grado di purezza, lasciando tracce di inconsapevole impurità
#21 - parole in viaggio
buonasera a tutti! bentornati sulle frequenze di parole in viaggio!
ascoltando un po’ di musica in questi giorni, mi son imbattuto in una frase che mi ha fatto un po’ riflettere e mi ha ispirato ad approfondire alcune parole. La canzone è molto conosciuta, Shallow, a un certo punto Lady Gaga chiede “Non sei stanco di cercare di riempire quel vuoto?”
ad una prima lettura, può sembrare una semplice esternazione di uno stato di insoddisfazione, la mancanza di qualcosa che ci spinge all’azione di riempire, di compensare la parte mancante.
Provando invece ad approfondire i singoli termini, ne esce una considerazione leggermente diversa.
Iniziamo con la parola stanco. Ha visto alcune modifiche nel tempo, ma l’origine rimane il verbo latino stagnare che significa far rimanere fermo. Infatti lo stagnum si riferisce proprio all’acqua ferma, immobile, da cui il verbo stagnare, ovvero l’impossibilità per l’acqua di scorrere. Diventa stanco colui a cui manca quella leggera pendenza che permette all’acqua di muoversi. Stanca è la persona che si ferma, immobile, senza le forze necessarie per spostarsi.
vuoto invece è un’altra parola interessante: l’etimologia in questo caso è un po’ più discussa, i più si concentrano sul verbo latino vacuare che significa vuotare, letteralmente rovesciare, sgomberare da cose e persone, e altri sull’aggettivo viduus, essere privo di, da cui anche deriva vedovo. In entrambi i casi siamo in presenza di un’azione di sottrazione di qualcosa, si rovescia un contenitore che rimane privo di qualcosa. La Treccani infatti definisce vuoto come ciò che non contiene quello che dovrebbe o potrebbe contenere..
infine, l’ultima parola, riempire richiama sempre il latino implere che significa oltre al classico colmare, anche condurre a termine, saziare, conseguire pienamente.
Con queste piccole informazioni dalla storia delle parole, assume anche un altro significato il testo della canzone. “Non sei stanco di cercare di riempire quel vuoto?”
la possiamo rivisitare come un “non hai più le forze per vincere l’immobilità e tentare di saziare le tue giornate evitando che altri rovescino la tua vita?”
cambia la prospettiva, cambia che il riempimento diventa una piena realizzazione di sè, dinnanzi a un vuoto che è semplicemente la sensazione di sentirsi privati di qualcosa perchè qualcuno ha rovesciato la nostra pienezza, le nostre ambizioni. Semplicemente non conteniamo più quello che dovremmo o potremmo contenere. Da qui deriva la stanchezza, una mera stagnazione, le nostre giornate si fermano, diventano immobili come l’acqua di uno stagno.
E per muovere l’acqua stagnante serve una piccola inclinazione, quella leggera pendenza che rende lo spostamento del liquido naturale. Inclinare in latino significa piegare, ma anche travolgere, far cadere oppure tendere. Questo è quello che ci serve, quando ci sentiamo immobili, quando per quanta acqua inseriamo, il vuoto non si riempie. Forse è perchè ci manca qualcosa a cui tendere, qualcosa che travolge le nostre giornate e al tempo stesso ci riempie.
Parole in Viaggio - puntata #20
Buonasera a tutti e bentornati sulle frequenze di Parole in viaggio.
è ripartito il nuovo anno, il mese di gennaio ci ha già salutati. Eppure, camminando per le strade non si respira aria di grandi cambiamenti… come spesso accade. dopo l’euforia e i buoni propositi di capodanno, tutto rimane pressoché inalterato. In modo particolare un dettaglio mi cattura spesso l’attenzione: l’essere umano è sempre più attratto da una condizione di tristezza, di inappagamento, di insoddisfazione. è come se l’animo umano fosse facilitato a mostrare il suo lato triste anzichè quello più radioso. Come se la malinconia fosse la parte principale delle nostre vite.
Eppure Ippocrate ancora 2400 anni fa ci aveva invitati a porre la giusta attenzione alle dosi di malinconia da usare ogni giorno. O meglio ancora aveva sottolineato l’importanza di generare un equilibrio. Nella sua opera, “La natura dell’uomo”, affermava che
“«Il corpo dell'uomo ha in sé sangue, flegma, bile gialla e nera; questi costituiscono la natura del suo corpo e per causa loro soffre od è sano. È dunque sano soprattutto quando questi componenti si trovino reciprocamente ben temperati per proprietà e quantità, e la mescolanza sia completa. Soffre invece quando uno di essi sia in difetto o in eccesso, o si separi nel corpo e non sia temperato con tutti gli altri»
il segreto secondo Ippocrate sta dunque nella mescolanza, nella sintesi finale dei vari elementi. E mi permetto di aggiungere che oltre alla mescolanza, l’ideale sarebbe prima sviluppare una sorta di consapevolezza di queste emozioni, perchè in questo modo si può assaporarne ogni minimo aspetto, compreso quello stato di tristezza che spesso vagheggia per le strade.
Ippocrate la chiama bile nera che altro non è che la traduzione dal greco di malinconia, la bile nera, ciò che spegne il sorriso, raffredda ogni forma di energia e tende a concentrare la prospettiva su pochi elementi. Poche cose che sottraggono l’attenzione e non corrispondono però un compenso di felicità.
Anche perchè felicità è un’altra parola magica, ricca di significati: non a caso deriva dal latino felix con il quale ci si riferisce a qualcosa che è fecondo, che è fertile. Essere felici diventa l’azione con cui produciamo qualcosa, con cui non subiamo gli effetti della bile nera, della malinconia, ma decidiamo di essere noi gli attori del nostro operato.
e la semplice felicità si tramuta in eudemonia quando non è un fatto isolato, ma diviene come dice la TReccani, lo scopo fondamentale della vita. C’è un cambiamento essenziale tra subire passivamente i momenti di malinconia e felicità e percorrere invece la strada in modo consapevole, non sentendoci più parte isolata, ma quasi supportati da un demone.
mentre la felicità, rappresenta un elemento instabile, come cantava Battisti “Felicità, Ti ho perso ieri ed oggi ti ritrovo già”, Eudemonia invece è la dimostrazione che esiste un demone, una presenza divina, dentro di noi che ci spinge a fare costantemente il bene… un demone buono che ci guida!
e allora l’augurio per la continuazione di questo nuovo anno sia davvero di incontrare un cambiamento, un cambiamento autentico, accogliere con consapevolezza le nostre emozioni, trovare il giusto equilibrio e soprattutto lasciare che un demone entri dentro di noi e ci conduca alla felicità come scopo della vita, per noi e per chi ci sta attorno.
Parole in viaggio - puntata #19
Parole in viaggio - puntata #18
Parole in viaggio - puntata #17
Oggi voglio ripartire dall’ultimo approfondimento, perchè ritengo meriti un ulteriore spazio. Grazie al consiglio di un’attenta ascoltatrice, desidero condividere con voi il senso ancora più radicato della parola idiota. Nella precedente trasmissione avevo definito idiota chi si dedica alla s fera privata e delega gli altri ad operare per lui; in realtà l’idiota non è solo colui che si astiene, perchè la parola trova la sua radice anche nel greco eidon, che è il passato del verbo orao, che significa vedere. Si crea quindi un legame tra l’azione dell’osservare e la conseguente decisione ad agire o meno: chi non vuole vedere, chi si priva anche della facoltà sensoriale della vista, di conseguenza non può che lasciare ad altri il compito di agire. Idiota nel senso di non voler vedere, proprio come dice Daniele Silvestri “dovevo proprio avere gli occhi bendati per non vedere tutti i giorni passati, sprecati, buttati consacrati al niente” Idiota nel senso di non voler conoscere la realtà che sta attorno, di non voler incontrare.
anche perchè la parola incontro nasconde un piccolo dettaglio: noi solitamente la usiamo per definire una situazione in cui non è presente un elemento di discordia. In realtà, la sua origine racconta dell’unione di due parti, in e contro che definiscono invece tutta un’altra tipologia di circostanze.
contro richiama il latino contra, ovvero qualcosa o qualcuno che si trova in una posizione opposta alla mia. La parte più interessante però è racchiusa proprio nella parola in, perchè esprime come ci sia un movimento, come la situazione non sia statica, radicata o irremovibile. In rappresenta il verso, l’azione di andare verso qualcuno. Nel momento in cui decido di incontrare l’altro, ho lasciato la mia posizione originale e sono già in movimento verso l’altro. La magia dell’incontro è la direzione, l’intenzione di movimento, l’intenzione di non voler aspettare le mosse dell’altro. Sono io che ho deciso, che sento il desiderio di muovermi, sebbene sono consapevole che l’altro si trova comunque in una posizione opposta.
Ma forse ho deciso di muovermi verso l’altro perchè mi interessa, perchè sento che la rigidità delle posizioni potrebbe danneggiarmi più che giovarmi. Sento che potrei trarre un beneficio dall’incontro, sebbene questo mi costringerà a prendermi cura dell’altro e di me stesso. E uso la parola cura non a caso, in quanto tra i suoi significati va ad attingere dalla radice latina KU che significa battere, nel senso proprio di martellare. Infatti, l’incudine è proprio l’attrezzo che serve per battere. La cura diventa quindi una modalità per colpire in due direzioni: sicuramente quando ci prendiamo cura di qualcuno è sempre un’azione di invasione dell’intimità dell’altro, è come se in un certo senso creassimo un’apertura nella sfera personale, a volte anche percotendo, battendo, martellando. Sebbene il nostro possa essere un buon intento, in ogni caso prendersi cura dell’altro significa colpirlo. E in secondo luogo colpiamo anche noi stessi, martelliamo anche sul nostro sistema difensivo: perchè il prendersi cura ha bisogno di un canale diretto tra me e l’altro, non devono porsi ostacoli, nulla deve intromettersi nella relazione tra i due. E per far questo abbiamo bisogno di un elevatissimo livello di attenzione, di osservazione: non a caso il secondo significato di cura ritrova la radice nel latino KAU che significa osservare, guardare.Ecco allora che quando mi prendo cura dell’altro sono chiamato a osservarlo con attenzione, i suoi bisogni, i suoi sentimenti, le sue emozioni, e al tempo stesso non posso dimenticare di osservare anche me stesso, osservare come cambia il mio modo di essere, osservare come si modellano i miei pensieri quando mi prendo cura dell’altro. Anche perchè cura trova la sua terza radice nel sanscrito Kavi, che significa saggio: infat
Parole in viaggio - puntata #16
Parole in viaggio - puntata #15
C’è un verbo che più di tutti sta dominando la scena delle vicende internazionali: la Corea del Nord sembra essere pronta a lanciare missili intercontinentali, mentre di risposta il presidente americano Trump sembra essere pronto a reagire annientando la stessa Corea. La situazione sembra giorno dopo giorno precipitare in un cunicolo senza possibilità di ritorno. Il verbo precipitare entra nell’uso sempre più quotidiano per descrivere situazioni che all’apparenza sembrano irreversibili. Precipitare nel senso di cadere in quella voragine da cui è impossibile risalire. Precipitare però pone le sue radici nel latino praecipitem, colui che cade con la testa in avanti: l’elemento caratteristico di questa parola è proprio la testa, una testa che viene descritta come ciò che si sposta dalla sua normale posizione e di conseguenza modifica anche il consueto movimento del corpo. La testa rappresenta ciò che controlla il nostro corpo, il nostro essere: nel momento in cui perde l’equilibrio e si sposta fuori dall’asse del corpo determina un incontrollabile mutamento della parte rimanente. Un corpo senza testa non ha ragione di esistere, oltre il controllo di sè perde soprattutto la possibilità di rendersi utile agli altri e a sè.
Una nazione che è parte attiva nel far precipitare le cose, perde il controllo della situazione, ma soprattutto perde la possibilità di garantire al suo popolo la sicurezza.
Non c’è sofferenza più grande di patire per una scelta imposta da altri: quando è qualcuno esterno da me a scegliere cosa e come devo vivere, è esattamente il momento in cui le cose iniziano a precipitare, iniziano a spostare la testa, la mia testa lontana dal corpo. la sofferenza è veramente grande perchè non devo soffrire, sub fero, per ciò che io ho deciso di portare sulle mie spalle. Devo invece caricarmi di un peso che non è mio, anzi, che probabilmente non avrei mai portato. La sofferenza mi costringe ad allenare la pazienza, quella virtù che chiede all’uomo di affrontare il pathos delle cose. Non si tratta di essere indifferenti al dolore, di lasciarlo scorrere sulla pelle: la pazienza è una dote che va ben oltre. Ci chiede di guardare il faccia il dolore, guardare negli occhi coloro che ci caricano di pesi indesiderati, guardarci allo specchio mentre la sofferenza tenta di schiacciarci: anche perchè se non affrontiamo direttamente la situazione rischiamo di precipitare, di mettere cioè la testa in avanti, di perdere l’equilibrio e rimanere definitivamente torchiati dalla massa sovrastante.
La pazienza può divenire una strada risolutiva, la pazienza è l’arte di accogliere il dolore, come fa il salice quando nevica, non usa tutta la sua forza per sopportarlo e rischiare quindi di spezzarsi dal peso. Il salice accoglie la neve sui suoi rami, si flettono, si piegano fino a far cadere la stessa neve a terra: non usa la forza per contrastare il dolore, ma lo sa accogliere, lo porta con sè e lo accompagna verso la sua strada.
Forse è questo uno dei doni più significativi che la natura ci mostra: saper accogliere, saper essere flessibili dinnanzi a ciò che è doloroso, senza accorrere, senza precipitare, senza lasciarsi travolgere dall’impeto della sua forza. E forse non a caso l’uomo li chiama salici piangenti, non solo perché la forma richiama le lacrime che cadono. Piangenti anche perchè quando accogli il dolore non puoi rimanere indifferente, il dolore entra e fa parte di te: piangere è un’azione naturale dell’essere umano, e piangere richiama il plangere latino che significa percuotere, battere, colpire. Per ogni lacrima che lasciamo cadere corrisponde un colpo subito. L’indifferenza è scappare di fronte al dolore, la pazienza è aprire il proprio cuore alle percosse che ogni giorno incontriamo. Ma è anche scoprire che in questo pathos risiede un’energia infinita, se veramente siamo
parole in viaggio - puntata #14
Parole in viaggio - puntata #13
Parole In Viaggio - Finisterre - Puntata #12
"We are the greatest show after Big Bang, you and me"
With these words the Italian singer Jovanotti shows us an other important detail: extraordinary events have at least two actors, panorama and observer,horizon between sky and sea, sun and horizon when it sunsets. And the sunset hasn't got a negative meaning, sunset (tramonto in Italian) means go beyond the mountains, TRANS MONTES, it doesn't mean that everything is over or that light turns off definitely. The sunset is simply a greeting, it's the way nature chose to show us how we can greet someone when it's time to divide. And there isn't a more complete and simpler model than the sunset, overall if the sun greets us beyond the horizon of the sea, or of a mountain we like. It goes slowly down and when disappears it gives us the most beautiful part, all that we didn't know he had, the light, the colours, the memory of what we lived together. And the sun goes down away, beyond that horizon which doesn't let us alone because it's a circle, an hug which let us in front of an unrepeatable panorama, in front of all we can see and feel.
And with this image I stop here my Camino and with my heart I desire to thank all the pilgrims I met in this days.
Buen Camino Hermanos Queridos
Parole In Viaggio - Puntata #11
Direttamente dal cammino di Santiago trasmetto l'undicesima puntata... con i semplici mezzi tecnologici a disposizione
Parole in viaggio - puntata #10
Parole in viaggio - puntata #9
Parole in viaggio - puntata #8
Buonasera a tutti e bentornati sulle frequenze di Parole in viaggio. Per questo nuovo appuntamento iniziamo la trasmissione accogliendo una delle richieste degli ascoltatori, la parola di oggi pertanto è stata scelta direttamente attraverso il pubblico. Ricordo infatti che è possibile richiedere particolari approfondimenti semplicemente lasciando un commento sulla pagina ufficiale di Parole in viaggio su facebook e google plus.
Le giornate cominciano ad allungarsi, anche l’inverno ha ormai i giorni contati: è questo il periodo della terra, della preparazione del suolo, pronto ad accogliere l’esplosione primaverile. E ogni terriccio che si rispetti, non può fare a meno di una componente essenziale, l’humus appunto. Partendo dalla definizione, la Treccani lo sintetizza come “Complesso di sostanze organiche presenti nel suolo, di fondamentale importanza per la nutrizione dei vegetali, derivato dalla decomposizione di residui vegetali e animali, e dalla sintesi di nuove molecole organiche, ad opera di vari organismi”. In altre parole, l’humus è ciò che nel tempo si decompone trasformandosi in nutriente per le future piante. Rappresenta pertanto quell’infinito ciclo naturale per cui ogni resto apparentemente inutile può divenire col passare del tempo e con l’intervento di agenti esterni un elemento nutriente. E forse non a caso i latini pensarono di ricorrere a questo elemento per sintetizzare in una parola l’essere umano. Uomo deriva appunto da humus, l’uomo rappresenta proprio questo ciclo naturale di trasformazione. L’uomo deriva dalla terra e in qualche modo ritorna ad esserlo alla fine di ogni esistenza. Ma la terra oltre ad essere l’inizio e la fine di ogni uomo, porta con sè anche un’altra analogia: l’uomo è chiamato per la sua natura a ripercorrere la vita della terra, cioè a nascere come creatura, richiedere attenzioni a chi ci sta intorno, crescere usando tutto ciò che gli altri preparano per noi, raggiungere il massimo sviluppo per essere pronti poi a generare una propria creatura, un piccolo seme pronto a germogliare… e come se non bastasse, una volta appassiti, riuscire ad essere ugualmente utili al seme, perché ogni scarto vegetale ritorna infine humus. Non c’è immagine migliore per definire come la natura aveva pensato l’essere umano, l’uomo come humus.
E se l’uomo effettivamente ha molteplici similitudini con la terra, non a caso è stata coniata molto tempo fa un’altra parola che rispecchia perfettamente la condizione dell’uomo nei confronti della terra. Stiamo parlando di umile, dell’umiltà. Anche in questo caso la radice è la stessa di humus, derivano entrambe dal sanscrito Bhumi, cioè la terra. Umiltà diventa quindi il legame che unisce l’uomo alla terra, che lo rende semplice, è quell’elemento che tiene legato l’uomo alla realtà. E di contro invece ciò che rompe questo legame con la terra, con la semplicità, ciò che fa volare l’uomo distante dalla terra è proprio il suo opposto, la superbia, intesa come super-bios, come azione di crescita sopra, quasi un volo aereo senza contatto con l’elemento della terra. Essere umili pertanto non significa solo lavorare la terra, com’era per i primi schiavi contadini, bensì racchiude in sè un’incredibile forza, un legame speciale con la terra, con l’essenza della vita, proprio a ricordare che chi si dimentica questo legame è destinato a volare, a sentirsi completamente estraneo alla vita, a sentirsi quindi superbo.
La terra diviene pertanto un luogo speciale, un luogo dove l’uomo è chiamato a incontrare sè stesso e gli altri. Anche perchè la definizione di humus ci ricorda che la trasformazione degli scarti vegetali in nuove molecole organiche avviene per opera di vari organismi. Il nostro rinnovamento pertanto non può avvenire esclusivamente attraverso il nostro individuale contributo, non è sufficiente: la terra ci ricorda che noi da soli non possediamo tutto ciò che serv
Parole in viaggio - puntata #7
Buonasera a tutti e bentornati sulle frequenze di Parole in viaggio. Anche per questo mese siamo arrivati al terzo lunedì, giorno ufficiale per il nostro appuntamento radiofonico.
un anno si è da poco concluso, un altro è in attesa di mostrarci le sue novità: il 2016 oltre a regalarci un giorno in più, sarà l’anno dell’apertura verso l’altro, o almeno dell’apertura di tutte le porte sante. Sarà l’anno del cambio di presidente degli USA, forse arriverà la prima donna della storia, di sicuro ci sarà spazio per qualche novità e inaspettate invenzioni.
Di sicuro ciò che non è cambiato è il modo di atteggiarsi di tanta gente verso altre persone. Parlo di rispetto, e non è il semplice valore ma il pensiero che sorge nella mente umana quando trova davanti un individuo della propria specie.
“mi raccomando, porta rispetto alla maestra” dice sempre la mamma al figlio prima di mandarlo a scuola… “le regole vanno rispettate” urla l’allenatore ai calciatori… “devi portare rispetto al tuo superiore” afferma con tono acceso il capo reparto all’operaio…
il rispetto spesso è collegato ad una sua accezione passiva, è così punto e basta… il rispetto verso l’altro invece è un processo, è un’azione in continua evoluzione, è tutto fuorché una regola matematica da applicare nella realtà di tutti i giorni.
Il rispetto nasce da un semplicissimo verbo latino spicere, che significa guardare, osservare, unito al suffisso re che invita a ripetere nuovamente l’azione. Rispetto come osservare di nuovo, ancora una volta, come se i latini volessero ricordarci che per rispettare l’altro non è mai sufficiente un unico sguardo, ma forse è sempre meglio riguardare chi abbiamo davanti. E se vogliamo essere ancora più precisi, non è un semplice osservare passivo: il verbo spicere racchiude la radice spic, cioè la punta, che serve per pungere, per penetrare l’altro, per non rimanere semplicemente su un livello superficiale quanto piuttosto entrare dentro per conoscere al meglio la persona. E se ci pensiamo il rispetto è proprio questo, la semplice azione di osservazione attenta dell’altro per capire quali elementi possano creargli disagio. Rispetto come osservazione appuntita che penetra la barriera della superficie.
Il rispetto dunque diventa un atto di attenzione verso l’altro. E perchè oggi c’è una sempre più diffusa tendenza al non rispetto verso l’altro? un disinteressamento dello stato del prossimo? è una prassi ormai riversata in ogni angolo di quotidianità… dal non fermarsi sulle strisce pedonali, dal superare con disinvoltura le persone in fila in cassa, dal negare il saluto al vicino, dal fumare in qualsiasi luogo, dal tono aggressivo verso camerieri e baristi, dal sfruttare il collega che non sa mai dire di no, dall’abbagliare con i fari la macchina in terza corsia in autostrada che non ti fa passare, dal non saper più attendere il giusto tempo per qualsiasi tipo di richiesta. Il rispetto sta svanendo, o forse più semplicemente come afferma Bauman per la società liquida vale anche per i valori umani: anche il rispetto sta cambiando forma, si sta velocemente adattando allo stile di vita di tanti uomini. Se fino a poco tempo fa il rispetto era legato al concetto di altro, cioè non esiste rispetto se non c’è un’altra persona verso cui portarlo, oggi la società moderna ha dirottato il destinatario del rispetto dall’altro verso sè stessi, siamo divenuti noi l’oggetto del nostro stesso rispetto, trascurando in toto l’altro.
In ogni azione della giornata, fatta forse esclusione per i figli, tutti gli altri sono invisibili conviventi di questo mondo che in nessun modo devono interferire con le mie finalità, prima di tutto ci sono io. O forse l’egoismo si è trasformato in una forma ancora peggiore, che non tende a ignorare l’altro, ma a costringerlo in qualche modo a piegarsi al nostro volere. Già Oscar Wilde l’aveva preannunciato affermando che “L'egoismo non consiste nel vivere
Parole in Viaggio - puntata #6
Parole in viaggio - puntata #5
dopo gli orribili attacchi a Parigi di venerdì 13 novembre 2015, forse vale la pena rivisitare il significato di fanatismo e le sue inarrestabili conseguenze.
Buon ascolto
Parole in viaggio - puntata #4
Continua la rubrica radiofonica dedicata all'approfondimento delle parole. La puntata di oggi affronta il delicato tema della morte e l'umano desiderio di rendere la vita immortale.
Buon ascolto!
Parole in Viaggio - puntata #3
Parole in Viaggio - puntata #2
Buonasera a tutti e bentornati sulle frequenze di parole in viaggio, la rubrica radiofonica dedicata all’approfondimento di parole, della loro storia, l'evoluzione e l'attuale utilizzo. La prima parola in viaggio di oggi è crisi, finalmente dopo 7 anni di negatività, di mercati paralizzati, di crack finanziari, i media hanno iniziato a concordare che alla fine l'Italia è uscita dalla crisi. Ma a quale crisi fanno riferimento? La crisi dei sub prime? La crisi di Lehman Brothers? La conseguente crisi economica? Forse vale la pena soffermarsi un po' di più su questa parola, che abbiamo sentito troppe volte e di cui forse abbiamo oltremodo abusato. Crisi non contiene solo un significato negativo, probabilmente siamo noi ad associarlo a questo senso, in realtà nella sua origine greca krino significa scegliere, decidere, distinguere, e di conseguenza Crisis è la scelta. È la scelta che spinge l'uomo a non continuare nelle medesime condizioni perché è consapevole, ha trovato una luce nel momento più buio. La crisi pertanto non è sprofondare negli abissi, è invece accorgersi di trovarsi negli abissi più remoti e contemporaneamente prendere una decisione, fare la scelta di riemergere, distinguere in modo consapevole quale direzione prendere per riemergere.
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Parole in Viaggio - puntata #1
Colonna sonora parole parole parole di Niccolò Fabi
Buonasera a tutti e benvenuti a Parole in Viaggio. Questo è il primo appuntamento della trasmissione che ricordo andrà in onda il terzo lunedì di ogni mese. Parole in viaggio è dunque il titolo che ho scelto per questa trasmissione radiofonica. Parole perché saranno proprio loro il soggetto e l'oggetto di approfondimento, l'argomento cardine di ogni puntata. In viaggio perché oggi più che mai nulla rimane immobile e forse più di tutti sono proprio le parole a ricordarci il perché tra epoche diverse, tra culture diverse, tra popoli diversi, ci hanno donato oggi la possibilità di riscoprire il fascino dell'uomo.
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